LA PRIMAVERA HITLERIANA Da “Bufera ed altro”. EUGENIO MONTALE
Fa
parte della raccolta "La bufera e l'altro", uscita nel 1956.
Raccoglie ,le poesie dal 1940 al 1952. Erano anni particolari. C'era stata la
seconda guerra mondiale, il dilagare della società di massa, il dominio della
DC e del PCI che non portò a nulla. Tutti segnali che, secondo Montale,
annunciano il declino non solo dei valori autentici, ma di tutta la civiltà
occidentale. La "bufera" allude alla seconda guerra mondiale ma anche
a tale catastrofe, "l'altro" ad avvenimenti estranei e succesivi ad
essa.
Questa poesia fa parte della quinta sezione della raccolta. Una sezione in cui il poeta prende coscienza della crisi dei valori e cerca di trovarne dei nuovi. La poetica può assolvere questo compito. Essa deve rifugiarsi dalla "bufera" non più nell'alto, nell'astratto; ma nella concretezza, nel "fango" dell'esistenza quotidiana.
Nella poesia postata si allude ad una visita di Hitler a Firenze. E' stata scritta in due fasi: nel 1939 e nel 1946. Il capo del nazismo è il "messo infernale" ed il suo arrivo a Firenze è una profanazione ai valori della civiltà occidentale. A lui si contrappone Clizia(mentre il tedesco è l'Inferno, Clizia è il Paradiso), portatrice dei veri valori. Montale si chiede: se c'è Hitler e la guerra, allora che senso hanno i momenti vissuti con lei ("Tutto per nulla dunque?")? Ma alla fine della poesia si prospetta un possibile riscatto e la nevicata di falene, triste presagio iniziale, si trasforma in una possibile morte dei "mostri": la morte di Hitler e Mussolini.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come zucchero il piede;l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani,un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine,povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene,e l’acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla,dunque e le candele
romane a S.Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte,ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda(ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia,i sette,la semina
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani-tutto arso e succhiato
da un polline che stride come un fuoco
e ha punte di snibibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte!Guarda ancora
in alto, Clizia,è la tua sorte,tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbacina nell’Altro e si distrugga
in Lui per tutti. Forse le sirene,i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda,si confondono già
col suono che slegato dal cielo,scende,vince-
col respiro di un’alba che domani per tutti si
riaffacci bianca ma senz’ali di raccapriccio,ai greti arsi del sud.
Questa poesia fa parte della quinta sezione della raccolta. Una sezione in cui il poeta prende coscienza della crisi dei valori e cerca di trovarne dei nuovi. La poetica può assolvere questo compito. Essa deve rifugiarsi dalla "bufera" non più nell'alto, nell'astratto; ma nella concretezza, nel "fango" dell'esistenza quotidiana.
Nella poesia postata si allude ad una visita di Hitler a Firenze. E' stata scritta in due fasi: nel 1939 e nel 1946. Il capo del nazismo è il "messo infernale" ed il suo arrivo a Firenze è una profanazione ai valori della civiltà occidentale. A lui si contrappone Clizia(mentre il tedesco è l'Inferno, Clizia è il Paradiso), portatrice dei veri valori. Montale si chiede: se c'è Hitler e la guerra, allora che senso hanno i momenti vissuti con lei ("Tutto per nulla dunque?")? Ma alla fine della poesia si prospetta un possibile riscatto e la nevicata di falene, triste presagio iniziale, si trasforma in una possibile morte dei "mostri": la morte di Hitler e Mussolini.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come zucchero il piede;l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani,un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine,povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene,e l’acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla,dunque e le candele
romane a S.Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte,ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda(ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia,i sette,la semina
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani-tutto arso e succhiato
da un polline che stride come un fuoco
e ha punte di snibibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte!Guarda ancora
in alto, Clizia,è la tua sorte,tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbacina nell’Altro e si distrugga
in Lui per tutti. Forse le sirene,i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda,si confondono già
col suono che slegato dal cielo,scende,vince-
col respiro di un’alba che domani per tutti si
riaffacci bianca ma senz’ali di raccapriccio,ai greti arsi del sud.
La guerra vicenda cosmica
Nel
volume La bufera e altro una
nota dell’autore chiarisce l’avvenimento politico da
cui
il componimento trae spunto: «Hitler e Mussolini a Firenze. Serata di gala al
teatro
Comunale. Sull’Arno, una nevicata di farfalle bianche». I fatti della cronaca
e
i drammatici eventi storici collocati in uno scenario cosmico-religioso
accostano
realismo
e ansia metafisica.
La
visita di Hitler, ricevuto a Firenze da Mussolini e dagli scherani
del regime
(9
maggio 1938), è vissuta dal poeta con orrore e sdegno: Hitler è un messo
infernale
e
l’incontro con Mussolini è una tregenda,
un convegno di demoni.
La
natura stessa, con la neve di primavera, sembra raggelata dall’evento, sembra
anticipare
il gelo della morte che la guerra porta con sé (le falene-neve su cui
scricchiolano
i
piedi alludono alle vite umane lacerate).
L’immagine
della primavera (vv. 31-33) che sconfigge la morte verso cui si avvia il
mondo
e il suono mandato dal cielo che scende a vincere il male sono l’annuncio della
fine
del nazifascismo e di una rinascita (quasi una resurrezione pasquale, vv.
38-44).
Eugenio Montale (La bufera e l'altro, Silvae, V sez.)
Eugenio Montale (La bufera e l'altro, Silvae, V sez.)
Annuncio allegorico di una nuova epoca
La
lirica conferma che, in Montale, la realtà concreta è sempre allegoria di
qualcosa
di
più vasto. La figura di Clizia, investita di significati mistico-religiosi,
mediatrice
tra
l’uomo e il divino, incarna una speranza biblica e un’alternativa di salvezza
di
fronte al messo infernale e all’irrazionalità
storica .
Lessico e sintassi
La contrapposizione semantica tra gelo e
fuoco, il linguaggio mistico-cristiano (nella
terza e nella quarta strofa) e la
complessa struttura sintattica elevano il tono della
lirica. I termini quotidiani (cannoni,
giocattoli di guerra), tecnici (golfo
mistico) e politici
(alalà,
croci a uncino)
conferiscono ai versi il tono di realismo.
ANALISI DEL TESTO
Avantesto
Né quella ch’ a veder lo sol
gira...
( Dante a Giovanni
Quirini)
E’ il verso 9 del sonetto
attribuito a Dante e diretto a Giovanni Quirini.
Si riferisce al mito di Clizia
trasformata in girasole dopo che il suo amore per
Apollo non fu corrisposto. La vicenda è narrata da Ovidio nel IV
libro delle Metamorfosi al v. 270 “vertitur ad solem
mutataque servat amorem” (si volse verso il sole ed anche così
mutata conserva l’amore), ripreso al v.10 del citato sonetto e
che ci conduce al v.34 di questa poesia montaliana “e’l non mutato
amor mutata serbi”.
1.
“La lirica fu iniziata o
abbozzata nel 1939 e portata a termine nel 1946-47 nell’estrema stagione della
trasfigurazione di Clizia nell’apice dell’opera montaliana che sono le
Silvae del terzo libro. Qui sono confrontate le tenebre, che la visita di Hitler a Firenze
simboleggia e la possibile alba di salvezza rappresentata da Clizia, che
per la prima volta viene chiamata col suo nome senhal ,senza che i due
eventi,che pure precedono e seguono la bufera, siano collocabili in un prima e
dopo cronologici, come figure di tempi storici diversi: come il male ha natura
ontologica e non sempre scompare con la fine della guerra, la morte dei “messi
infernali”,che l’hanno scatenato, così il bene non è certo eredità della
nuova era, conservando misure
escatologiche. Non per nulla male e bene, orrore e salvezza convivono in quella
metafora del“bianco,”che percorre tutta la poesia, ora come nevicata
sinistra delle farfalle, ora come luce dell’alba senza raccapriccio, così che
le sirene e le campane ,che annunciano la visita dei“mostri,”possono
essere anche segno del possibile evento di salvezza.
Nel giorno della visita del
dittatore tedesco a Firenze, nel maggio del 1938 scende nella
città una nuvola di falene, che stende sulle strade e sulle rive del fiume una
coltre di ali bianche, che scricchiolano sinistramente sotto il piede, nella
città addobbata di croci uncinate e con
i segni della prossima tragedia
bellica sembrano perdere senso gli opposti segni cliziani.
STROFA PRIMA
La lirica si apre con la
rappresentazione paeseggistico-lirica;“folta nuvola delle falene impazzite/
turbina intorno agli scialbi fanali e alle spallette”che possiamo
considerare come momento proemiale. Il linguaggio, alla maniera proprio
di Montale, è“scabro ed essenziale”e si rapporta allo stato d’animo del
poeta.
La nuvola è bianca e proprio la“metafora
del bianco”, può essere considerata un ipersegno in tutto il
contesto poetico della lirica. Le farfalle crepuscolari “impazzite”ci
riconducono a tutto quanto il mondo montaliano,all’ansia del poeta, al sentimento di un disordine cosmico e al
contempo al la tormentata ricerca dell’Altro che vivifichi
l’essenza stessa della vita
Lo stato d’animo del poeta è evidente
nel termine“turbina”e dai
correlativi“intorno agli scialbi fanali”(lampioni“e sulle
spallette”(muretti del fiume),che simboleggiano la tragicità dell’existere
del poeta nel tempo storico in cui vive.
Se nel termine“turbina”,
possiamo notare ancora un’ansietà del vivere, pur nella
semioscurità delle incertezze“scialbi fanali”,assai più drammatica
l’immagine dei versi successivi:“stende a terra una coltre, su cui scricchia
come su zucchero il piede;......”(vv.3-4).
Il linguaggio aspro e la rappresentazione realistica sono una
trasposizione lirica del sentimento umano del “fallimento
cosmico”.
Il fonosimbolismo,
inoltre, contenuto nella parola onomatopeica
“scricchia” e“zucchero”, traduce anche il senso di angosciosa
attesa di un sinistro presagio.
Ma proprio, all’interno del v. 4,
immediatamente dopo la comparsa della coltre, e del sinistro calpestio dell’uomo, e, che sembra
dolorosamente esprimere il senso della dissoluzione e morte nel mondo appare l’immagine dell’estate“l’estate imminente
sprigiona / ora il gelo notturno che capiva/ nelle cave segrete della stagione
morta,/ negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai” (l’estate, che
sta arrivando (imminente), ora emana (sprigiona)il gelo
notturno che era ancora racchiuso(che capiva-verbo intransitivo “capire”)
nei nascondigli (nelle cave) della morta stagione (dell’inverno)-( nota
esplicativa di R. Luperini).
Il paesaggio è simbolo di una
situazione dell’anima che interpreta una disarmonia cosmica legata
alla drammaticità del momento storico.
I dati realistici della
rappresentazione, anche a livello formale- stilistico, ci ricordano la poetica
dantesca; compaiono, inoltre, le variabili dell’ossimoro di fuoco/gelo,
ravvisabili nei campi semantici antecedentemente citati; l’“estate” imminente
sprigiona ora il gelo notturno”
La contrapposizione dialettica
dei termini la rinveniamo all’interno di tutto quanto il componimento
poetico(cfr. vv.28-30 )“tutto arso e succhiato da un polline che
stride come il fuoco / ed ha punte di sinibbio.”.
.Non solo la coppia gelo/fuoco,
ma anche i campi semantici cieco sole/alba bianca/greti
arsi del sud sono da intendere come segni dell’anima dell’autore, che
interpreta, vivendolo in pieno, il reale storico per riproporlo, poi, nella sua
poesia..
STROFA SECONDA
Il disordine cosmico, prefigurato
nella prima strofe, inquadra nella seconda la comparsa di un messo infernale (Hitler)
accompagnato dai suoi sgherri (scherani).
Tutti partecipano in qualche modo
alla sua festa e sono coinvolti, ,in una grande colpa storica.
Secondo Montale, che accoglie la grande lezione di Dante,
l’opera d’arte ha bisogno di incarnarsi nella storia e di ripetersi fra gli
uomini con un tempo,che,,come quello dantesco, trasfigura il contingente.
La storia e gli uomini, il
fallimento cosmico e la possibilità di salvezza attraverso la poesia: questi
sono i temi che ruotano intorno alla poetica montaliana ,condensati in questa
lirica.
La componente predominante
della strofa è,quella demoniaca.
“Da poco è passato a volo un
messo infernale”.
Montale colloca in un tempo
di poco precedente a quello della prima strofa la venuta del“messo
infernale”, seguito da un coro di“alalà”. Il termine di antica
origine greca era noto al poeta come grido dannunziano, fatto proprio dagli scherani
( fascisti), che inneggiano al dittatore.
L’onomatopeia contribuisce
a dare al componimento contorni sonori che rendono ancora più viva e palpitante
la scena, così pure come l’uso raro della parola “scherani”, con valenza
dispregiativa connota la condanna che il poeta fa della
storia del tempo.
La strofa procede con una fitta
rete di ossimori, ,che simboleggiano il disagio esistenziale del poeta
ed insieme il suo interesse per una poesia che assolva prevalentemente
alla sua funzione di riscatto umano e civile.
La nominazione del golfo
mistico (sineddoche per teatro-così, infatti, veniva chiamata nella
sistemazione del teatro moderno, ideato da Riccardo Wagner, la parte
riservata all’orchestra)è usata dal poeta certo in forma opposta rispetto al“messo
infernale”, che lo occuperà, accompagnato dalle urla degli scherani.
E proprio “il golfo
mistico” ha preso ed inghiottito Hitler.
Il dittatore sembra essere
sommerso nella folla dalle ignare, ma non per questo incolpevoli acclamazioni.
Ma, se per un momento il
personaggio demoniaco sembra annullarsi, il poeta coglie con un’immagine poetica
il modo con cui viene allestito il“golfo
mistico”
Il luogo è, infatti,“acceso”,
e“pavesato”(addobbato-altro elemento antifrastico)“di croci ad
uncino” (simbolo nazista) che sono senz’altro ineluttabili segni di
distruzione e di morte.
Nei versi che seguono si
enunciano le catastrofiche conseguenze dell’evento.
Sono state chiuse le vetrine
povere, cioè dotate di scarse merci ed inoffensive, benché anch’esse armate di
cannoni e di giocattoli di guerra.
Anche il beccaio(macellaio-beccaio
è un termine anche usato da Dante)che infiorava
(adornava) il muso dei
capretti uccisi, ha sprangato (chiuso) il negozio.
Tutto sembra fermarsi in un
attimo; ma è proprio in quest’attimo Montale esprime insieme alla sua
angoscia esistenziale, il dramma dell’uomo contemporaneo,che considera,però,
non incolpevole del misfatto storico.
Gli stessi giocattoli, infatti,prevedono
gli ordigni di morte, mentre “i capretti uccisi”sono un evidente simbolo
sacrificale che ricorda il destino delle vittime innocenti del nazifascismo.
La contrapposizione storica del
tempo e la conseguente lacerazione dell’esistenza dell’umanità sono condannate
dalla contrapposizione dei termini: vita/morte- capretti uccisi /
infiorava.
Ne segue il giudizio negativo
sulla storia e sull’inerzia totale degli uomini del tempo, che con un ossimoro
assai forte vengono definiti “miti carnefici”, anche se, come
aggiunge il poeta, “ancora ignorano il sangue.” Coloro che festeggiano Hitler,
proprio con il loro conformismo, diventano complici del grande sbaglio della
storia.
La loro sagra(vera e
propria festa popolare)si tramuta in “sozzo trescone d’ali schiantate, /
di larve sulle golene”.
L’atmosfera rimanda ad alcuni “loci”dell’Inferno
dantesco.
La danza, inoltre, è un motivo
ricorrente nella poesia montaliana ed indica movimenti esagitati irrazionali.
La sua condizione è quella di“larve
sulle golene”(argini del fiume)
La visione delle ali schiantate,
che precede quella delle“larve”, sembra annullare ogni segno di attesa e
speranza. Di metafisico adesso non c’è che il nulla.
Non un gesto, non una parola.
La popolazione, che assiste al
trionfalismo del dittatore, è paragonata a tanti fantasmi sugli argini del
fiume, ad un insieme di ombre che non hanno il coraggio di agire, e per questo
è colpevole.
E la storia? “ l’acqua seguita
a rodere le sponde”. Il poeta esprime qui il senso più alto del suo
pessimismo storico. Gli eventi (l’acqua seguita a rodere le sponde), che
inesorabilmente continueranno ad adempiere la loro opera distruttrice, presagiscono
l’avvicinarsi della tragedia e l’ineluttabilità della catastrofe.
Questa concezione della storia
Montale la ripropone in Satura in una lirica che per
l’appunto s’intitola La
Storia: “ La storia non si snoda /come una
catena/ di anelli ininterrotta./ In ogni caso / molti anelli non tengono./ La
storia non contiene il prima e il dopo,/ nulla che in lei borbotti/ a lento
fuoco./ La storia non è prodotta/ da chi la pensa e neppure /da chi l’ignora……”.
Il poeta, pur contrapponendosi ad ogni concezione, sia
di stampo idealistico che marxista della storia, non può fare a meno di
affermare che la storia non può essere fatta da chi l’ignora(chiara
allusione al popolo che veniva travolto dalla bufera del tempo senza,
però, comprenderla).
Il pessimismo montaliano mette in
evidenza la radicale ed incolmabile estraneità della storia nei confronti
dell’individuo, che non può ritrovarvi certezze o consolazione.
Però, nell’ombra cupa del
suo pessimismo, cerca un “varco”.“Nessuno è incolpevole”;
ognuno è compartecipe della comune sorte di lutti e tragedie; la denuncia
manifesta la vocazione sociale e civile della poesia e del letterato e di uomo
tra gli uomini del suo tempo.
STROFA TERZA
Le immagini di morte e di
distruzione sembrano prevalere fin
quando “Tutto per nulla, dunque -?”.Si nota subito il mutamento dalla
prima parte della lirica: al sangue e ai movimenti esagitati delle falene
subentrano immagini di luce.
E’ evocata la partenza della
donna amata; le parole stesse mutano segno e diventano, per dirla col poeta
stesso, “parole di fede e di speranza”.
Ed i
segni della fede e della speranza espressi nell’evocazione del distacco, che
ritorna alla memoria, con l’immagine delle“candele romane”(i fuochi
di artificio)“che sbiancavano” (illuminavano)“lente
l’orizzonte”,si riferiscono proprio a lei (Irma Brandeis-Clizia).
Si noti la metafora del“bianco”(sbiancavano)che
permane in tutta l’ispirazione poetica della lirica.
Le candele hanno un valore
simbolico e sono segnali di salvezza, legati a Clizia, come
pure i “pegni e i lunghi addii / forti come un battesimo………”.
I pegni testimoniano anche la fedeltà di Clizia al suo ruolo di
donna salvifica dal momento che il poeta li definisce “forti come un
battesimo”e quindi carichi di forza redentrice.
E tuttavia“nella lugubre
attesa dell’orda”, nel cielo illuminato dai fuochi di artificio si
manifesta un evento prodigioso che annuncia la speranza.
Una stella cadente(gemma)riga
l’aria stillando (facendo cadere come stille) luci minori che il
poeta interpreta come angeli di Tobia e come semi (la
semina dell’avvenire) di un avvenire migliore proprio nel paese di
Clizia, gli Stati Uniti , raffigurati come un paese di ghiacciai e
di fiumi (v.25): “sui ghiacciai e le rivere dei tuoi lidi”.
Per alcuni critici il poeta
vorrebbe alludere all’attesa dell’arrivo delle truppe americane che avrebbero
liberato l’Italia dai Tedeschi.
Un’altra componente fondamentale
di questa strofe è il ricorso alle fonti bibliche.
Il poeta, che, nella prima
parte della poesia aveva riecheggiato Dante, nella rappresentazione macabra del“messo
infernale”,adesso, ripropone temi biblici, adattandoli alla contingenza
storica in cui vive.
La vicinanza con Irma Brandeis, studiosa
dei Padri della Chiesa, ha decisamente influito a far maturare in
Montale queste nuove conoscenze vissute, però, sempre con originalità di
inventiva poetica, come avviene per gli angeli
di Tobia .
L’immagine rinvia ad un “sovrasenso”
di carattere allegorico-figurale come in Dante.
Gli angeli di Tobia sono“figura”,
anticipazione di un mondo migliore(la semina dell’avvenire).
Nel libro biblico dell’Antico
Testamento, dedicato a Tobia, sette sono gli
angeli tra cui Dio scelse Raffaele per guidare Tobia, come
sette sono i mariti di Sara morti uno dopo l’altro prima
che ella possa congiungersi con Tobia “dando così inizio a una nuova
generazione destinata al riscatto, alla terra dei “padri”: una
speranza, dunque, qualcosa di positivo che deve nascere e ciò giustifica
l’accostamento tra Tobia e Clizia” ( nota esplicativa
-L.Poma-C.Ricciardi)
Nei versi che concludono la
strofe, però, incombe nuovamente l’atmosfera tragica.
Tutti i segni positivi, che
avevano accompagnato Clizia, sembrano dissolversi“tutto arso(bruciato)e
succhiato(divorato)da un polline che stride ed ha punte di
sinibbio”(vento gelido del Nord).
Ancora una volta attraverso la
coppia fuoco-gelo il poeta ci rappresenta l’ossimoricità del
vivere.
STROFA QUARTA. “ Oh la
piagata
primavera è pur festa se
raggela
in morte questa morte”
L’inizio della quarta strofe ci
riporta all’incipit della lirica. La primavera è ferita;
il gelo e la caduta delle farfalle l’hanno colpita; eppure il poeta
auspica che possa ancora far festa, se
trasforma nel gelo della morte“questa morte”, simboleggiata
dall’imperversare del“messo infernale”,attorno a cui si scatenava
il“sozzo trescone”.
Lo sconvolgimento cosmico della“nevicata”,
visto prima come male, ora è considerato come possibilità di distruzione del
male.
E proprio, all’interno
dello stesso verso, c’è l’invocazione a Clizia, che viene pregata di
assumere il suo ruolo di donna-girasole che guarda in alto. “Guarda
ancora / in alto, Clizia, è la tua sorte:” .
Siamo al momento della mitopoiesi:
Clizia per amore si muta in girasole e guarda in eterno il
sole“il non mutato amore ancora serbi”; per il poeta, come nella grande
avventura mistica dantesca, il sole s’identifica con Dio.
Ne consegue la visione
salvifica della donna“fino a che il cieco sole che in te porti
/ si abbacini nell’Altro e si distrugga/ in Lui per tutti”. Clizia porta
dentro di sé un amore segreto(cieco).
La donna, che arriva a confondere
il suo amore con quello divino, non approda ad una beatitudine di tipo
mistico, ma assume in pieno il suo ruolo sacrificale.
Ed il suo annullarsi
nella volontà divina si connota cristologicamente come
riscatto per tutto. Anche in questi versi il poeta, che ricorre alla coppia degli opposti- luce/ cecità,
consunzione/ salvezza– , tipica del linguaggio mistico di ogni tempo e
non ignoto a Dante, sviluppa la complessità del suo mondo
ideologico-culturale e spirituale. I
l contrasto dei campi
semantici ci annuncia l’ultima parte della lirica vv.37-39. “Forse
le sirene, i rintocchi/che salutano i mostri nella sera/della loro tregenda”.
Echeggiano i suoni ed i rintocchi
delle sirene che salutano i mostri (i nazisti) nella sera e
viene evocato il diabolico ballo ( tregenda), che, come nelle strofi
precedenti, sottolinea l’esagitarsi di atteggiamenti irrazionali ed
inconsapevoli.
Suoni e rintocchi (vv. 41-43)
“ si confondono già /col suono che slegato dal cielo, scende,
vince-/ col respiro di un’alba che domani per tutti/ si riaffacci bianca ma
senz’ali/ di raccapriccio, ai greti arsi del sud”.
I rintocchi, che salutano i
dittatori, si trasformano in un suono, che scende dal cielo per
anunciare la vittoria in mezzo a tutti i segni di distruzione e di morte,colla
metafora di un’alba, che seppure porta sempre i segni del dolore e della
tragedia, (l’alba è bianca così come bianca è
la “nuvola delle falene impazzite”), si contrappone alla“sera della
tregenda”e non porta i segni
angosciosi della disperazione e della morte “ma senz’ali di raccapriccio”.
L’’epifania di Clizia
si propone come momento di attesa, di riscatto e di salvezza per tutti
quanti gli uomini accomunati nella speranza di un futuro migliore.
L’alba, inoltre, che si
affaccia ai“greti arsi del sud”fa sorgere la speranza di un
riscatto proprio in un mondo, come quello del sud, che è figura
di tutto il dramma storico-esistenziale del periodo.
A livello semantico questa
condizione interiore dell’uomo è espressa dal termine“arsi”che ci
rimanda ai già citati versi vv.27-29 della lirica“tutto arso e
succhiato/ da un polline che stride come il fuoco /ed ha punte di sinibbio”.
LIVELLO METRICO
Iversi liberi lunghi hanno un
andamento lento. L’ accelerazione del ritmo è scandita dagli
endecasillabi.
I versi lunghi liberi si
rapportano in genere ai momenti più cupi, mentre gli endecasillabi propongono i
momenti in cui si dilegua l’angoscia e appaiono i segni della speranza.
Dalla lettura della lirica
possiamo desumere che Montale si è avvicinato a Dante non
soltanto per alcuni aspetti linguistici e livelli formali, ma soprattutto per
alcune tematiche fondamentali, che stanno alla base dell’ideazione
allegorico-lirica .
Così, com’era avvenuto per Dante,
la vicenda personale dell’autore si trasporta su“un piano di astrattezza
metafisica e di universalità”. Questa è la tesi del Luperini, che noi
accogliamo pienamente anche leggendo il primo verso della Commedia: “nel
mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai..”. E’ ormai luogo
comune, accettato da tutta la critica dantesca, che il nesso tra l’io
esistenziale di “mi ritrovai” contrapposto a “nostra vita”,
indica proprio nel proemio il messaggio del poeta, che dalla sua esperienza
personale, fa nascere un’opera che deve avere un valore assoluto per tutti
quanti gli uomini “ nostra vita”.
Indubbiamente Montale ha
accolto la lezione dantesca, anche se logicamente gli esiti poetici, riferibili
all’esperienza dei due autori, vissuti in contesti storico-culturali distanti
nel tempo, sono diversi.
Un punto che accomuna Dante
a Montale è senz’altro la figura della donna- angelo.
Come Beatrice anche
Clizia rappresenta una mediazione tra l’uomo
e Dio, come Beatrice anche Clizia si volge al sole,
simbolo di Dio, e si innalza dall’umano al sovrumano per riscattare l’uomo.
Il personaggio di Beatrice,
però, ha un significato ontologico-escatologico, fondato
sulla filosofia tomistico-aristotelica.
Montale, invece, utilizza
i temi e i concetti della religione cristiana nell’ambito di una cultura del
tutto laica.
Apparentemente le figure
di Beatrice e Clizia sembrano accostarsi.
Come Beatrice anche
Clizia sembra impersonare, ma soltanto in un primo momento, i valori
assoluti che si devono incarnare nella storia per poi trasferirsi
nell’Eterno.
Come Dante Montale,
nel raffigurare la donna ideale, si serve di richiami biblici e
della simbologia cristiana.
Mentre il primo, proprio in virtù
dell’intelletto d’amore e con la mediazione della donna-angelo,
potrà congiungersi con l’Amore primo, il secondo rimane pur sempre
legato alla sfera del mondo umano e la stessa Clizia si connota come
simbolo della concezione poetica dell’autore e della sua religione: quella
del rinnovamento umanistico delle lettere nella drammaticità del
contingente storico. Clizia, inoltre, nella realtà anche biografica
si cala perfettamente nella storia del suo tempo.
Irma Brandeis, ebrea,
eppure studiosa dei Padri della Chiesa ed illuminata dantista, è
la vittima sacrificale che deve subire le leggi razziali.
Nella sua persona il poeta sembra
configurare, soprattutto nella silloge“Bufera ed altro”, un
mutamento dall’allegoria di tipo umanistico a quella di
carattere cristiano.
La stessa immagine di Clizia, abbacinata
dal sole, ci ricorda la figura dantesca, ma con connotazioni differenti.
Beatrice, che già ha
conquistato l’Eterno, potrà guardare il sole“come
aguglia unquanco si affisse mai”, Clizia, invece, si distrugge nella
vista dell’ “Altro” portando in sé un “cieco sole” per
riscattare tutti quanti gli uomini.
Il suo atto di amore indica la speranza
di salvare l’umanità travagliata e dolente (greti arsi del sud…), ma non
assume la figura ideale di rivelazione propria della Beatrice
dantesca.
In effetti, come giustamente
opina Iacomuzzi, Clizia non assurge mai ad un valore assoluto in quanto
la trasfigurazione di Clizia per Montale si attua“non come
oggetto di fede, ma di speranza”.
Nel periodo in cui maturava la composizione
della Bufera ed altro, il poeta
che riteneva di poter contare
sulla solidarietà degli uomini e di poter dare voce colla sua poesia ad un
sentimento di coralità umana e sociale, dovette prefigurare nella
religione cristiana lo spiraglio di una speranza e di una possibile redenzione
per tutti.
Tutta la composizione della Bufera
è scandita come atto di attesa senza dimenticare la tragicità
del presente.
Le coordinate tempo-spazio
nel poeta sono sempre immanenti.
La Firenze
di Clizia, come abbiamo visto, è quella storicamente
determinata, in cui giunge Hitler, in mezzo all’agitarsi del“sozzo
trescone”per cui“nessuno è incolpevole”.
E’ proprio del poeta intrecciare
la dimensione storica con quella individuale poetichein un correlativo oggettivo della sua condizione
umana e spirituale.
RIFLETTI E RISPONDI ( sotto forma di saggio
breve o di diario)
·
Qual è la struttura della raccolta a cui appartiene la poesia?Qual è il
significato del titolo?
·
E’ stato notato (Luperini)che le prime due strofe
della poesia presentano notevoli differenze rispetto alle altre due. Da quale
punto di vista soprattutto?Come si spiegano tali differenze?. Quali elementi
nuovi intervengono nella seconda parte del testo?
·
La figura di Clizia (già presente ,nelle Occasioni)assume nella Bufera una serie di
valenze nuove. Sintetizza i tratti caratteristici di questa figura, facendo
riferimento ai vari testi a lei dedicati. Indica quali caratteristiche sopraindicate emergono nella
Bufera e quali sono invece assenti nella raccolta di versi precedente.
·
Quali considerazioni ti suggerisce la lettura di
questi versi a livello storico ed
esistenziale?
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