domenica 26 marzo 2017

LA PRIMAVERA HITLERIANA  Da “Bufera ed altro”. EUGENIO MONTALE

Fa parte della raccolta "La bufera e l'altro", uscita nel 1956. Raccoglie ,le poesie dal 1940 al 1952. Erano anni particolari. C'era stata la seconda guerra mondiale, il dilagare della società di massa, il dominio della DC e del PCI che non portò a nulla. Tutti segnali che, secondo Montale, annunciano il declino non solo dei valori autentici, ma di tutta la civiltà occidentale. La "bufera" allude alla seconda guerra mondiale ma anche a tale catastrofe, "l'altro" ad avvenimenti estranei e succesivi ad essa.
Questa poesia fa parte della quinta sezione della raccolta. Una sezione in cui il poeta prende coscienza della crisi dei valori e cerca di trovarne dei nuovi. La poetica può assolvere questo compito. Essa deve rifugiarsi dalla "bufera" non più nell'alto, nell'astratto; ma nella concretezza, nel "fango" dell'esistenza quotidiana.
Nella poesia postata si allude ad una visita di Hitler a Firenze. E' stata scritta in due fasi: nel 1939 e nel 1946. Il capo del nazismo è il "messo infernale" ed il suo arrivo a Firenze è una profanazione ai valori della civiltà occidentale. A lui si contrappone Clizia(mentre il tedesco è l'Inferno, Clizia è il Paradiso), portatrice dei veri valori. Montale si chiede: se c'è Hitler e la guerra, allora che senso hanno i momenti vissuti con lei ("Tutto per nulla dunque?")? Ma alla fine della poesia si prospetta un possibile riscatto e la nevicata di falene, triste presagio iniziale, si trasforma in una possibile morte dei "mostri": la morte di Hitler e Mussolini.

Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come zucchero il piede;l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani,un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine,povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene,e l’acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla,dunque e le candele
romane a S.Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte,ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda(ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia,i sette,la semina
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani-tutto arso e succhiato
da un polline che stride come un fuoco
e ha punte di snibibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte!Guarda ancora
in alto, Clizia,è la tua sorte,tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbacina nell’Altro e si distrugga
in Lui per tutti. Forse le sirene,i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda,si confondono già
col suono che slegato dal cielo,scende,vince-
col respiro di un’alba che domani per tutti si
riaffacci bianca ma senz’ali di raccapriccio,ai greti arsi del sud.

La guerra vicenda cosmica
Nel volume La bufera e altro una nota dell’autore chiarisce l’avvenimento politico da
cui il componimento trae spunto: «Hitler e Mussolini a Firenze. Serata di gala al
teatro Comunale. Sull’Arno, una nevicata di farfalle bianche». I fatti della cronaca
e i drammatici eventi storici collocati in uno scenario cosmico-religioso accostano
realismo e ansia metafisica.
La visita di Hitler, ricevuto a Firenze da Mussolini e dagli scherani del regime
(9 maggio 1938), è vissuta dal poeta con orrore e sdegno: Hitler è un messo infernale
e l’incontro con Mussolini è una tregenda, un convegno di demoni.
La natura stessa, con la neve di primavera, sembra raggelata dall’evento, sembra
anticipare il gelo della morte che la guerra porta con sé (le falene-neve su cui scricchiolano
i piedi alludono alle vite umane lacerate).
L’immagine della primavera (vv. 31-33) che sconfigge la morte verso cui si avvia il
mondo e il suono mandato dal cielo che scende a vincere il male sono l’annuncio della
fine del nazifascismo e di una rinascita (quasi una resurrezione pasquale, vv. 38-44).
Eugenio Montale (La bufera e l'altro, Silvae, V sez.)
 Annuncio allegorico di una nuova epoca
La lirica conferma che, in Montale, la realtà concreta è sempre allegoria di qualcosa
di più vasto. La figura di Clizia, investita di significati mistico-religiosi, mediatrice
tra l’uomo e il divino, incarna una speranza biblica e un’alternativa di salvezza di
fronte al messo infernale e all’irrazionalità storica .
Lessico e sintassi
La contrapposizione semantica tra gelo e fuoco, il linguaggio mistico-cristiano (nella
terza e nella quarta strofa) e la complessa struttura sintattica elevano il tono della
lirica. I termini quotidiani (cannoni, giocattoli di guerra), tecnici (golfo mistico) e politici
(alalà, croci a uncino) conferiscono ai versi il tono di realismo.

ANALISI DEL TESTO
Avantesto
Né quella ch’ a veder lo sol gira...
( Dante a Giovanni Quirini)
E’ il verso 9 del sonetto attribuito a Dante e diretto a Giovanni Quirini.
 Si riferisce al mito di Clizia trasformata in girasole dopo che il suo amore per Apollo non fu corrisposto. La vicenda è narrata da Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi al v. 270vertitur ad solem mutataque servat amorem” (si volse verso il sole ed anche così mutata conserva l’amore), ripreso al v.10 del  citato sonetto e che ci conduce al v.34 di questa poesia montaliana “e’l non mutato amor mutata serbi”.








1.
PARAFRASI
“La lirica fu iniziata o abbozzata nel 1939 e portata a termine nel 1946-47 nell’estrema stagione della trasfigurazione di Clizia nell’apice dell’opera montaliana che sono le Silvae  del terzo libro. Qui sono confrontate le  tenebre, che la visita di Hitler a Firenze simboleggia e la possibile alba di salvezza rappresentata da Clizia, che per la prima volta viene chiamata col suo nome senhal ,senza che i due eventi,che pure precedono e seguono la bufera, siano collocabili in un prima e dopo cronologici, come figure di tempi storici diversi: come il male ha natura ontologica e non sempre scompare con la fine della guerra, la morte dei “messi infernali”,che l’hanno scatenato, così il bene non è certo eredità della nuova era,  conservando misure escatologiche. Non per nulla male e bene, orrore e salvezza convivono in quella metafora del“bianco,”che percorre tutta la poesia, ora come nevicata sinistra delle farfalle, ora come luce dell’alba senza raccapriccio, così che le sirene e le campane ,che annunciano la visita dei“mostri,”possono essere anche segno del possibile evento di salvezza.
Nel giorno della visita del dittatore tedesco a Firenze, nel maggio del 1938 scende nella città una nuvola di falene, che stende sulle strade e sulle rive del fiume una coltre di ali bianche, che scricchiolano sinistramente sotto il piede, nella città addobbata di croci uncinate e con  i  segni della prossima tragedia bellica sembrano perdere senso gli opposti segni cliziani.


STROFA PRIMA
La lirica si apre con la rappresentazione paeseggistico-lirica;“folta nuvola delle falene impazzite/ turbina intorno agli scialbi fanali e alle spallette”che possiamo considerare come momento proemiale.  Il linguaggio, alla maniera proprio di Montale, è“scabro ed essenziale”e si rapporta allo stato d’animo del poeta.
La nuvola è bianca e proprio la“metafora del bianco”, può essere considerata un ipersegno in tutto il contesto poetico della lirica.  Le farfalle crepuscolari “impazzite”ci riconducono a tutto quanto il mondo montaliano,all’ansia del poeta, al   sentimento di un disordine cosmico e al contempo al la tormentata ricerca dell’Altro che vivifichi l’essenza stessa della vita
Lo stato d’animo del poeta è evidente nel  termine“turbina”e dai correlativi“intorno agli scialbi fanali”(lampioni“e sulle spallette”(muretti del fiume),che simboleggiano la tragicità dell’existere del poeta nel tempo storico in cui vive.  
Se nel termine“turbina”, possiamo notare ancora un’ansietà del vivere, pur   nella semioscurità delle incertezze“scialbi fanali”,assai più drammatica l’immagine dei versi successivi:“stende a terra una coltre, su cui scricchia come su  zucchero il piede;......”(vv.3-4).
Il linguaggio aspro  e la rappresentazione realistica sono una trasposizione lirica del  sentimento  umano del “fallimento cosmico”.
Il fonosimbolismo, inoltre, contenuto nella parola onomatopeica  scricchia” e“zucchero”, traduce anche il senso di angosciosa attesa di un sinistro presagio.
Ma proprio, all’interno del v. 4, immediatamente dopo la comparsa della    coltre, e del  sinistro calpestio dell’uomo, e, che sembra dolorosamente esprimere il senso della  dissoluzione e morte nel mondo appare  l’immagine dell’estate“l’estate imminente sprigiona / ora il gelo notturno che capiva/ nelle cave segrete della stagione morta,/ negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai” (l’estate, che sta arrivando (imminente), ora emana (sprigiona)il gelo notturno che era ancora racchiuso(che capiva-verbo intransitivo “capire”) nei nascondigli (nelle cave) della morta stagione (dell’inverno)-( nota esplicativa di R. Luperini).
Il paesaggio è simbolo di una situazione dell’anima che interpreta una disarmonia cosmica legata alla drammaticità del momento storico.
I dati realistici della rappresentazione, anche a livello formale- stilistico, ci ricordano la poetica dantesca; compaiono, inoltre, le variabili dell’ossimoro di fuoco/gelo, ravvisabili nei campi semantici antecedentemente citati; l’estate” imminente sprigiona ora il gelo notturno”
La contrapposizione dialettica dei termini la rinveniamo all’interno di tutto quanto il componimento poetico(cfr. vv.28-30 )“tutto arso e succhiato da un polline che  stride come il fuoco / ed ha punte di sinibbio.”.
.Non solo la coppia gelo/fuoco, ma anche i campi semantici cieco sole/alba bianca/greti arsi del sud sono da intendere come segni dell’anima dell’autore, che interpreta, vivendolo in pieno, il reale storico per riproporlo, poi, nella sua poesia..

STROFA SECONDA
Il disordine cosmico, prefigurato nella prima strofe, inquadra nella seconda la comparsa di un messo infernale (Hitler) accompagnato dai suoi sgherri (scherani).
Tutti partecipano in qualche modo alla sua festa e sono coinvolti, ,in una grande colpa storica.
Secondo Montale, che accoglie la grande lezione di Dante, l’opera d’arte ha bisogno di incarnarsi nella storia e di ripetersi fra gli uomini con un tempo,che,,come quello dantesco, trasfigura il contingente.
La storia e gli uomini, il fallimento cosmico e la possibilità di salvezza attraverso la poesia: questi sono i temi che ruotano intorno alla poetica montaliana ,condensati in questa lirica.
 La componente predominante della strofa è,quella demoniaca.
Da poco è passato a volo un messo infernale”.  
Montale colloca  in un tempo di poco precedente a quello della prima strofa la venuta del“messo infernale”, seguito da un coro di“alalà”.  Il termine di antica origine greca era noto al poeta come grido dannunziano, fatto proprio dagli scherani ( fascisti), che inneggiano al dittatore.
L’onomatopeia  contribuisce a dare al componimento contorni sonori che rendono ancora più viva e palpitante la scena, così pure come l’uso raro della parola “scherani”, con valenza dispregiativa connota la condanna  che il poeta fa  della storia  del  tempo.
La strofa procede con una fitta rete di ossimori, ,che simboleggiano il disagio esistenziale del poeta ed insieme il suo interesse per una poesia che  assolva prevalentemente alla sua funzione di riscatto umano e civile.
 La nominazione del golfo mistico (sineddoche per teatro-così, infatti, veniva chiamata nella sistemazione del teatro moderno, ideato da Riccardo Wagner, la parte riservata all’orchestra)è usata dal poeta certo in forma opposta rispetto al“messo infernale”, che lo occuperà, accompagnato dalle urla degli scherani.
 E proprio “il golfo mistico” ha preso ed inghiottito Hitler.
Il dittatore sembra essere sommerso nella folla dalle ignare, ma non per questo incolpevoli acclamazioni.
 Ma, se per un momento il personaggio demoniaco sembra annullarsi, il poeta coglie con un’immagine poetica  il modo con cui viene allestito il“golfo mistico”
Il luogo è, infatti,“acceso”, e“pavesato”(addobbato-altro elemento antifrastico)“di croci ad uncino” (simbolo nazista) che sono senz’altro ineluttabili segni di distruzione e di morte.
Nei versi che seguono si enunciano le catastrofiche conseguenze dell’evento.
Sono state chiuse le vetrine povere, cioè dotate di scarse merci ed inoffensive, benché anch’esse armate di cannoni e di giocattoli di guerra.
Anche il beccaio(macellaio-beccaio è un termine anche usato da Dante)che infiorava
(adornava) il muso dei capretti uccisi,  ha sprangato (chiuso) il negozio.
Tutto sembra fermarsi in un attimo; ma è proprio in quest’attimo Montale esprime insieme alla sua angoscia esistenziale, il dramma dell’uomo contemporaneo,che considera,però, non incolpevole del misfatto storico.

Gli stessi giocattoli, infatti,prevedono gli ordigni di morte, mentre “i capretti uccisi”sono un evidente simbolo sacrificale che ricorda il destino delle vittime innocenti del nazifascismo.
La contrapposizione storica del tempo e la conseguente lacerazione  dell’esistenza dell’umanità sono condannate dalla contrapposizione dei termini: vita/morte- capretti uccisi / infiorava.
Ne segue il giudizio negativo sulla storia e sull’inerzia totale degli uomini del tempo, che con un ossimoro assai forte  vengono definiti “miti carnefici”, anche se, come aggiunge il poeta, “ancora ignorano il sangue.” Coloro che festeggiano Hitler, proprio con il loro conformismo, diventano complici del grande sbaglio della storia.
La loro sagra(vera e propria festa popolare)si tramuta in “sozzo trescone d’ali schiantate, / di larve sulle golene”.
L’atmosfera rimanda ad alcuni “loci”dell’Inferno dantesco.
La danza, inoltre, è un motivo ricorrente nella poesia montaliana ed indica movimenti  esagitati irrazionali.
La sua condizione è quella di“larve sulle golene”(argini del fiume)
La visione delle ali schiantate, che precede quella delle“larve”, sembra annullare ogni segno di attesa e speranza.  Di metafisico adesso non c’è che il nulla.
Non un gesto, non una parola.
La popolazione, che assiste al trionfalismo del dittatore, è paragonata a tanti fantasmi sugli argini del fiume, ad un insieme di ombre che non hanno il coraggio di agire, e per questo è colpevole.
E la storia? “ l’acqua seguita a rodere le sponde”. Il poeta esprime qui il senso più alto del suo pessimismo storico. Gli eventi (l’acqua seguita a rodere le sponde), che inesorabilmente continueranno ad adempiere la loro opera distruttrice, presagiscono l’avvicinarsi della tragedia e l’ineluttabilità della catastrofe.
Questa concezione della storia Montale la ripropone in Satura in una lirica che per l’appunto s’intitola  La Storia:  “ La storia non si snoda /come una catena/ di anelli ininterrotta./ In ogni caso / molti anelli non tengono./ La storia non contiene il prima e il dopo,/ nulla che in lei borbotti/ a lento fuoco./ La storia non è prodotta/ da chi la pensa e neppure /da chi l’ignora…….
Il poeta,  pur contrapponendosi ad ogni concezione, sia di stampo idealistico che marxista  della storia, non può fare a meno di affermare che la storia non  può essere fatta da chi l’ignora(chiara allusione al popolo  che veniva travolto dalla bufera del tempo senza, però, comprenderla).
Il pessimismo montaliano mette in evidenza la radicale ed incolmabile estraneità della storia nei confronti dell’individuo, che non può ritrovarvi certezze o consolazione.
 Però, nell’ombra cupa del suo pessimismo, cerca un  “varco”.“Nessuno è incolpevole”; ognuno è compartecipe della comune sorte di lutti e tragedie; la denuncia manifesta la vocazione sociale e civile della poesia e del letterato e di uomo tra gli uomini del suo tempo.

STROFA TERZA
Le immagini di morte e di distruzione sembrano prevalere  fin quando “Tutto per nulla, dunque -?”.Si nota subito il mutamento dalla prima parte della lirica: al sangue e ai movimenti esagitati delle falene subentrano immagini di luce.
E’ evocata la partenza della donna amata; le parole stesse mutano segno e diventano, per dirla col poeta stesso, “parole di fede e di speranza”.
  Ed i segni della fede e della speranza espressi nell’evocazione del distacco, che ritorna alla memoria, con l’immagine delle“candele romane”(i fuochi di artificio)“che sbiancavano” (illuminavano)“lente l’orizzonte”,si riferiscono proprio a lei (Irma Brandeis-Clizia).
Si noti la metafora del“bianco”(sbiancavano)che permane in tutta l’ispirazione poetica della lirica.
Le candele hanno un valore simbolico e sono segnali di salvezza, legati a Clizia, come   pure i “pegni e i lunghi addii / forti come un battesimo………”.
I  pegni  testimoniano anche  la fedeltà di Clizia al suo ruolo di donna salvifica dal momento che il poeta li definisce “forti come un battesimo”e quindi  carichi di forza redentrice.
E tuttavia“nella lugubre attesa dell’orda”, nel cielo illuminato dai fuochi di artificio si manifesta un evento  prodigioso che annuncia la speranza.
Una stella cadente(gemma)riga l’aria stillando (facendo cadere come stille) luci minori che il poeta interpreta come angeli di Tobia e come semi (la semina dell’avvenire) di un avvenire migliore proprio nel paese di Clizia, gli Stati Uniti , raffigurati come un paese di ghiacciai e di fiumi (v.25): “sui ghiacciai e le rivere dei tuoi lidi”.
Per alcuni critici il poeta vorrebbe alludere all’attesa dell’arrivo delle truppe americane che avrebbero liberato l’Italia dai Tedeschi.
Un’altra componente fondamentale di questa strofe è il ricorso alle fonti bibliche.
 Il poeta, che, nella prima parte della poesia aveva riecheggiato  Dante, nella rappresentazione macabra del“messo infernale”,adesso, ripropone temi biblici, adattandoli alla contingenza storica in cui vive.
 La  vicinanza con Irma Brandeis, studiosa dei Padri della Chiesa, ha decisamente influito a far maturare in Montale queste nuove conoscenze vissute, però, sempre con originalità di inventiva poetica, come avviene per gli  angeli di Tobia .
L’immagine rinvia ad un “sovrasenso” di carattere allegorico-figurale come in Dante.
Gli angeli di Tobia sono“figura”, anticipazione di un mondo migliore(la semina dell’avvenire).
Nel libro biblico dell’Antico  Testamento, dedicato a Tobia, sette sono gli angeli tra cui Dio scelse Raffaele per guidare Tobia, come sette sono i mariti di Sara morti uno dopo l’altro prima che ella possa congiungersi con Tobiadando così inizio a una nuova generazione destinata al riscatto, alla terra deipadri”: una speranza, dunque, qualcosa di positivo che deve nascere e ciò giustifica l’accostamento tra Tobia e Clizia ( nota esplicativa -L.Poma-C.Ricciardi)
Nei versi che concludono la strofe,  però, incombe nuovamente l’atmosfera tragica.
Tutti i segni positivi, che avevano accompagnato Clizia, sembrano dissolversi“tutto arso(bruciato)e succhiato(divorato)da un polline che stride ed ha punte di sinibbio”(vento gelido del Nord).
Ancora una volta attraverso la coppia fuoco-gelo il poeta ci rappresenta l’ossimoricità del vivere.

STROFA QUARTA. “ Oh la piagata 
 primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte”
L’inizio della quarta strofe ci riporta all’incipit della lirica.  La primavera è ferita; il   gelo e la caduta delle farfalle l’hanno colpita; eppure il poeta auspica che possa ancora far  festa, se trasforma nel gelo della mortequesta morte”,  simboleggiata dall’imperversare del“messo infernale”,attorno a cui si scatenava  il“sozzo trescone”.
Lo sconvolgimento cosmico della“nevicata”, visto prima come male, ora è considerato come possibilità di distruzione del male.
 E proprio, all’interno dello stesso verso, c’è l’invocazione a Clizia, che viene pregata di assumere il suo ruolo di donna-girasole che guarda in alto. “Guarda ancora / in alto, Clizia, è la tua sorte:” .
 Siamo al momento della mitopoiesi: Clizia per amore  si muta in girasole  e guarda in eterno il sole“il non mutato amore ancora serbi”; per il poeta, come nella grande avventura mistica dantesca, il sole s’identifica con Dio.
Ne consegue la visione salvifica della donna“fino a che il cieco sole che in te  porti / si abbacini nell’Altro e si distrugga/ in Lui per tutti”. Clizia porta dentro di sé un amore segreto(cieco).
La donna, che arriva a confondere il suo amore con quello divino, non  approda ad una beatitudine di tipo mistico, ma assume in pieno il suo ruolo sacrificale.
 Ed il suo annullarsi nella  volontà divina si connota cristologicamente come riscatto per tutto. Anche in questi versi il poeta, che ricorre alla   coppia degli opposti- luce/ cecità, consunzione/ salvezza– , tipica del linguaggio mistico di ogni tempo e non ignoto a Dante, sviluppa la complessità del suo mondo ideologico-culturale e spirituale. I
l contrasto dei campi semantici ci annuncia l’ultima  parte della lirica vv.37-39.Forse le sirene, i rintocchi/che salutano i mostri nella sera/della loro tregenda”.
Echeggiano i suoni ed i rintocchi delle sirene che salutano  i mostri (i nazisti) nella sera e viene evocato il diabolico ballo ( tregenda), che, come nelle strofi precedenti, sottolinea  l’esagitarsi di atteggiamenti irrazionali ed inconsapevoli.
 Suoni e rintocchi (vv. 41-43)si confondono  già /col suono che slegato dal cielo, scende, vince-/ col respiro di un’alba che domani per tutti/ si riaffacci bianca ma senz’ali/ di raccapriccio, ai greti arsi del sud”.
I rintocchi, che salutano i dittatori, si trasformano in un suono, che scende dal cielo per anunciare la vittoria in mezzo a tutti i segni di distruzione e di morte,colla metafora di un’alba, che seppure porta sempre i segni del dolore e della tragedia, (l’alba è bianca così come bianca  è la “nuvola delle falene impazzite”), si contrappone alla“sera della tregenda”e non porta  i segni angosciosi della disperazione e della morte “ma senz’ali di raccapriccio”.
L’’epifania di Clizia si propone come momento di attesa, di riscatto e di salvezza per tutti quanti gli uomini accomunati nella speranza di un futuro migliore.
L’alba, inoltre, che si affaccia ai“greti arsi del sud”fa sorgere la speranza di un riscatto proprio in un mondo, come quello del sud, che è figura di tutto il dramma storico-esistenziale del periodo.
A livello semantico questa condizione interiore dell’uomo è espressa dal termine“arsi”che ci rimanda ai già citati versi vv.27-29 della lirica“tutto arso e succhiato/ da un polline che stride come il fuoco /ed ha punte di sinibbio”.

LIVELLO METRICO

Iversi liberi lunghi hanno un andamento lento.  L’ accelerazione  del ritmo è scandita dagli endecasillabi.
I versi lunghi liberi si rapportano in genere ai momenti più cupi, mentre gli endecasillabi propongono i momenti in cui si dilegua l’angoscia e appaiono i segni della speranza.


Dalla lettura della lirica possiamo desumere che Montale si è avvicinato a Dante non soltanto per alcuni aspetti linguistici e livelli formali, ma soprattutto per alcune tematiche fondamentali, che stanno alla base dell’ideazione allegorico-lirica .
Così, com’era avvenuto per Dante, la vicenda personale dell’autore si trasporta su“un piano di astrattezza metafisica e di universalità”. Questa è la tesi del Luperini, che noi accogliamo pienamente anche leggendo il primo verso della Commedia: nel mezzo del cammin  di nostra vita mi ritrovai..”. E’ ormai luogo comune, accettato da tutta la critica dantesca, che il nesso tra l’io esistenziale di “mi ritrovai” contrapposto a “nostra vita”, indica proprio nel proemio il messaggio del poeta, che dalla sua esperienza personale, fa nascere un’opera che deve avere un valore assoluto per tutti quanti gli uomini “ nostra vita”.
Indubbiamente Montale ha accolto la lezione dantesca, anche se logicamente gli esiti poetici, riferibili all’esperienza dei due autori, vissuti in contesti storico-culturali distanti nel tempo, sono diversi.
Un punto che accomuna Dante a Montale è senz’altro la figura della donna- angelo.
Come Beatrice anche Clizia  rappresenta una mediazione tra l’uomo  e Dio, come Beatrice anche Clizia si volge al sole, simbolo di Dio, e si innalza  dall’umano al sovrumano per riscattare l’uomo.
Il personaggio di Beatrice, però, ha un significato ontologico-escatologico, fondato  sulla filosofia tomistico-aristotelica.
Montale, invece, utilizza i temi e i concetti della religione cristiana nell’ambito di una cultura del tutto laica.
 Apparentemente le figure di  Beatrice e Clizia sembrano accostarsi.
 Come Beatrice anche Clizia sembra impersonare, ma soltanto in un primo momento, i valori assoluti  che si devono incarnare nella storia per poi trasferirsi nell’Eterno.
Come  Dante Montale, nel raffigurare la donna ideale, si serve di richiami biblici e della simbologia cristiana.
Mentre il primo, proprio in virtù dell’intelletto d’amore e con la mediazione della donna-angelo, potrà congiungersi con l’Amore primo, il secondo rimane pur sempre legato alla sfera del mondo umano e la stessa Clizia si connota come simbolo della concezione poetica dell’autore e della sua religione: quella del rinnovamento umanistico delle lettere nella drammaticità del contingente storico. Clizia, inoltre, nella realtà anche biografica si cala perfettamente nella storia del suo tempo.
Irma Brandeis, ebrea, eppure studiosa dei Padri della Chiesa ed illuminata dantista, è la vittima sacrificale che deve subire le leggi razziali.
Nella sua persona il poeta sembra configurare, soprattutto nella silloge“Bufera ed altro”, un mutamento dall’allegoria di tipo umanistico a quella di carattere cristiano.
La stessa immagine di Clizia, abbacinata dal sole, ci ricorda la figura dantesca, ma con connotazioni differenti.
 Beatrice, che già ha conquistato l’Eterno, potrà guardare il solecome aguglia unquanco si affisse mai”, Clizia, invece, si distrugge nella vista dell’ “Altro” portando in sé un “cieco sole” per riscattare tutti quanti gli uomini.
Il suo atto di amore indica la speranza di salvare l’umanità travagliata e dolente (greti arsi del sud…), ma non assume la figura ideale di rivelazione propria della Beatrice dantesca.
In effetti, come giustamente opina Iacomuzzi, Clizia non assurge mai ad un valore assoluto in quanto la trasfigurazione di Clizia per Montale si attua“non come oggetto di fede, ma di speranza”.
 Nel periodo in cui maturava la composizione della Bufera ed altro, il poeta
che riteneva di poter contare sulla solidarietà degli uomini e di poter dare voce colla sua poesia ad un sentimento di coralità  umana e sociale, dovette prefigurare nella religione cristiana lo spiraglio di una speranza e di una possibile redenzione per tutti.
Tutta la composizione della Bufera è scandita come atto di attesa senza dimenticare la tragicità del presente.
Le coordinate tempo-spazio nel poeta sono sempre immanenti.
La Firenze di Clizia, come abbiamo visto, è quella storicamente determinata, in cui giunge Hitler, in mezzo all’agitarsi del“sozzo trescone”per cui“nessuno è incolpevole”.
E’ proprio del poeta intrecciare la dimensione storica con quella individuale poetichein un  correlativo oggettivo della sua condizione umana e spirituale.

RIFLETTI E RISPONDI ( sotto forma di saggio breve o di diario)

·        Qual è la struttura della raccolta  a cui appartiene la poesia?Qual è il significato del titolo?

·        E’ stato notato (Luperini)che le prime due strofe della poesia presentano notevoli differenze rispetto alle altre due. Da quale punto di vista soprattutto?Come si spiegano tali differenze?. Quali elementi nuovi intervengono nella seconda parte del testo?

·        La figura di Clizia (già presente ,nelle Occasioni)assume nella Bufera una serie di valenze nuove. Sintetizza i tratti caratteristici di questa figura, facendo riferimento ai vari testi a lei dedicati. Indica quali  caratteristiche sopraindicate emergono nella Bufera e quali sono invece assenti nella raccolta di versi precedente.


·        Quali considerazioni ti suggerisce la lettura di questi versi  a livello storico ed esistenziale?

Nessun commento:

Posta un commento